| Sbarcata il 22 settembre 2004 sulla ABC ha cambiato il modo di raccontare le storie per la televisione. Era maggio 2010 quando la TV trasmetteva l’ultimo episodio di Lost, la serie TV di J.J. Abrams. Dopo sei stagioni la vicenda dei naufraghi sull’isola dei misteri trovava la sua conclusione, eppure per molti fan il finale di Lost ha rappresentato una cocente delusione, quasi una presa in giro. Lo era davvero? Gli autori hanno imbrogliato le carte per chiudere il cerchio, oppure era possibile prevedere il colpo di scena, apparentemente inaspettato?
Quando anni fa mi parlarono di Lost, una serie tv che stava riscuotendo grande successo in USA, la mia prima domanda fu: “Di che parla?”.
Mi fu risposto: “C’è un aereo che precipita su un’isola, i sopravvissuti scoprono che l’isola è strana”.
Incuriosita da quel mistero iniziai a guardare gli episodi e feci conoscenza con i personaggi, già noti sotto il nome di Losties.
La prima stagione di Lost mi ispirò non pochi sbadigli e ammetto che diverse volte mi addormentai guardandola, altre volte dovevo tenere le palpebre alzate con lo scotch. Il montaggio con i continui flashback sul passato dei Losties mi dava non poco fastidio e, onestamente, l’unico punto in comune era che tutti i naufraghi avevano una vita non certo felice, si portavano addosso molti problemi irrisolti e la disperazione di fondo tipica di chi sa di essere sull’orlo dell’abisso ma non vuole guardarlo.
I misteri sull’isola avanzavano piano piano e non ebbi esitazione a concludere che c’era un qualche strano esperimento dietro. Il mostro denominato “Il fumo nero” mi richiamava alla mente i mostri dell’Id del film cult “Il Pianeta Proibito” (1956) e di lì a poco mi aspettavo che avrebbero scoperto qualche scienziato pazzo dal sonno pesante all’origine dei loro problemi.
Lost non mi attraeva ancora. Se non fosse stato per il simpatico Locke, l’incarnazione della fede, e la sua insistenza a considerare l’isola come entità con una sua volontà, se non fossero saltate fuori le botole nascoste e quella strana tastiera dove inserire ogni 108 minuti sempre gli stessi numeri, avrei mollato la serie
La protagonista di Lost è l’isola, non c’è dubbio. Tutta la parte esplorativa del posto è stata una goduria e ho perso il conto delle centinaia di chilometri che i Losties avrebbero percorso avanti e indietro a piedi, tra palme e piogge tropicali.
Dopo l’iniziale scetticismo annoiato ho cambiato atteggiamento e ho iniziato ad appassionarmi alle vicende dei poveri malcapitati, perché ho capito che dietro non c’era una storia tanto banale e che gli autori avevano un filo preciso in mente: non eravamo davanti alla solita serie che si accartoccia su sé stessa, esaurendo la sua novità in pochi episodi.
Nella prima stagione abbiamo conosciuto i naufraghi, ovvero il gruppo di Jack e Locke e abbiamo scoperto le caratteristiche superficiali dell’isola, il fumo nero e altre presenze non identificate.
Seconda stagione: arrivano i sopravvissuti della coda dell’aereo, che riportano altre esperienze sull’isola e sugli abitanti, gli Altri, che iniziano a fare capolino e che sembrano conoscere l’isola.
Terza stagione: gli Altri prendono il controllo prepotentemente ma ci accorgiamo che non ne sanno poi molto di più dei naufraghi.
Quarta stagione: arrivano gli esterni, ovvero i mercenari e gli scienziati di Withmore, che cercano di spiegarci la brama di potere tra Ben e il miliardario: altro quadro incompleto.
Nella quinta stagione entriamo nella Dharma e abbiamo alcune spiegazioni scientifiche sull’isola, ma ci rendiamo conto che ancora non ci dicono tutto. La scienza per comprendere l’isola non esiste ancora, quindi ci si deve affidare alla fede.
Nelle prime cinque stagioni di Lost i personaggi non sembrano altro che formiche che cercano di capire la forma della Terra, ma la loro visione locale è ancora troppo limitata e le uniche risposte che possiamo avere sono per forza di cosa insufficienti.
Così, nella sesta stagione di Lost saliamo un altro gradino della piramide: la Fede.
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