Una cosa che ho pensato per tutto il tempo, mentre leggevo questo libro, è che oggi Dickens verrebbe bollato con l'etichetta ormai stantia di radical chic, quel termine che si usa per connotare i privilegiati che hanno idee progressiste e per i quali è fin troppo facile fare i paladini di tali idee, tanto non debbono occuparsi delle vili difficoltà che ha chi si dibatte tra le difficoltà materiali (come se poi, nota a margine mia, chi ha la fortuna di non esser povero non abbia diritto ad avere le sue idee, quali che siano).
E credo che a qualcuno il sospetto sia venuto davvero, leggendo certi passi, salvo che Dickens la povertà la conobbe e assaporò davvero e per di più si fece interamente da solo, per cui era più che qualificato per parlare di certi argomenti nei toni spesso sferzanti che caratterizzano questo resoconto di viaggio.
Dickens trascorse circa 6 mesi negli Stati Uniti (con una puntatina in Canada) con sua moglie, e girò per gran parte dell'allora territorio statunitense, annotando con precisione le sue impressioni e descrizioni di persone, luoghi, istituzioni. Il suo racconto prende le mosse direttamente dal viaggio di andata, su un piroscafo in partenza da Liverpool e finisce nello stesso modo. Il libro ha poi due capitoli conclusivi, uno dedicato alla schiavitù e l'altro con le conclusioni.
Si capisce, leggendo questo resoconto, come mai gli americani lo tennero in odio per anni (fino a una riconciliazione avvenuta nei suoi ultimi anni di vita), poiché Dickens non lesina aspri rimproveri e taglienti giudizi su alcuni aspetti della società e della politica americane. Ma, a onor del vero, non lesina neanche complimenti, quando trova che sia il caso di farli. In particolare, sembra di capire che fosse molto colpito dalle scuole e dagli istituti per bambini speciali (all'inizio spende diverse pagine per descrivere in modo approfondito l'educazione di una bambina sordocieca, un racconto davvero interessante), mentre è disgustato assloutamente dalla schiavitù, da alcune carceri (mentre ne elogia altre), da alcune abitudini (come sputare incessantemente a terra tabacco, arrivando a dire che non si può raccoglier niente da terra).
Il capitolo dedicato Washington e alla visita al parlamento mi ha molto colpito: Dickens non ebbe una grande impressione della politica americana (e per inciso non ebbe grande opinione mai nemmento del parlamento inglese) nel suo complesso, e anche se in generale pensa che la politica soffra degli stessi mali ovunque, pare di capire, da diversi punti sparsi nel libro (idea che userà anche in Martin Chuzzlewitt, dove dirà - splendidamente incisivo - che gli americani amano talmente la libertà da prendersi delle libertà con essa) che una nazione che ha una Costituzione così roboante in termini di "felicità" e sua ricerca, soffra particolarmente di ipocrisia, laddove questo diritto alla felicità è appannaggio di una ben precisa casta di esseri umani.
Molti gli episodi che colpiscono: dal già citato istituto, ad alcune carceri, al manicomio, all'incontro in treno con una madre e bambini schiavi appena comprati e separati dal padre (rimasto con vecchio padrone), all'incontro con un capo tribù indiano (veramente molto suggestivo), sono tanti i brani che danno da pensare per la loro modernità.
Altri sono invece sicuramente invecchiati male, per esempio il riferimento alla poca salubrità di vaste zone ancora non urbanizzate o domate dall'uomo, o il resoconto particolareggiato di spostamenti e condizioni delle strade, di cibi e abitudini di viaggio, che sicuramente potevano interessare il lettore ottocentesco, ben poco avvezzo al viaggio e che quindi si beveva ogni notizia, mentre per noi risultano particolari superflui che rallentano la narrazione.
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