Grandinata estiva
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| Anche stavolta in ritardo col commento, mi scuso. Uno di quei libri che quando arrivi alla fine senti il bisogno moderatamente impellente di leggerne le recensioni non foss’altro perchè dopo averlo letto, almeno a me, sorge spontanea la domanda: ma sono limitato io oppure? Oppure. Vabbè scherzo naturalmente, di sicuro sono limitato io (figuriamoci Matsumoto potrebbe essere il nome come il cognome e per me non cambierebbe nulla, questo per rendere l’idea) ma probabilmente è la cultura giapponese a limitarmi comunque torno alle recensioni di cui sopra: anch’io ho letto di quest’autore come del Simenon giapponese. Niente da eccepire (d’altronde di Simenon ho letto un libro, che faccio eccepisco pure?) ci mancherebbe se non fosse che per natura diffido di definizioni del tipo i Radiohead italiani, il Maradona turco, lo Stanley Kubrick messicano (magari col sombrero). Trovo estremamente limitativo questo genere di accostamenti (di sicuro per la copia ma spesso anche per l’originale) ma la morale, personalissima, che ne avrei tratto in caso contrario è: “ Simenon? No grazie, stasera ho già un impegno magari un’altra volta”.
Seconda riflessione (sfugge anche a me quale fosse la prima ma procedo), Tokyo express è un romanzo del 1958 ed io, lo giuro, adoro le storie scevre dalle frenesie dei nostri tempi, i ritmi compassati, le atmosfere rarefatte di un passato irrimediabilmente perduto. In questo caso però, lo confesso, non sono stati pochi i casi in cui mi son detto :” ma non c’è uno smartphone? Un tablet? Un qualsiasi attrezzo con cui ascoltare un pò di musica con le cuffiette? Una qualunque cosa che vivacizzi ‘sto mortorio? E il problema non è neanche la scarsa credibilità per noi italiani di una storia basata sul meticoloso passaggio in orario dei treni, sì probabilmente Trenitalia non sarà il top della puntualità ma personalmente (ad esempio in Trentino) i mezzi di trasporto generalmente non sgarrano, voglio dire il problema non mi sembra tanto il trovarsi di fronte a situazioni irriscontrabili nella nostra realtà quanto un generale piattume da cui non si riesce ad uscire fuori prima di un epilogo giunto, almeno per me, oltremodo agognato.
Quanto al giallo in sè non c’è tantissimo da sviscerare, insomma il colpevole (o almeno quello che ha un comportamento sospetto) si capisce dopo tre pagine, le motivazioni rimangono invece poco comprensibili ma lì magari è la mentalità che ci frena...già un comportamento atto ad ispirare un eventuale suicidio è scarsamente digeribile in una cultura così poco propensa alla dignità come la nostra figuriamoci certe dinamiche sentimentali di alcuni protagonisti.
Ultimissima riflessione: più che gli orari dei treni (quelli bene o male alla fine li avevo quasi metabolizzati) a stroncarmi sono stati i nomi (persone, treni, località), che dire Fukuoka o Shinjuku sono roba da far venir voglia d’andar a scaricare un autoarticolato ricolmo di mattoni.
E passiamo ai voti: 5 al romanzo, 4 a me per la mia atavica incapacità di assorbire qualsivoglia parvenza di cultura giapponese, 8,5 (quando ce vò ce vò) a chi si è magari battuto con vigore per far si che solo tre degli oltre trecento romanzi di questo prolifico autore (di qui forse il parallelo con Simenon, l’ho letto in una recensione non è farina del mio sacco) venissero pubblicati in Italia.
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