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Dickens, Charles - Il Circolo Pickwick

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Laura Palmer
view post Posted on 13/7/2010, 08:56 by: Laura Palmer




Copincollo il mio commento:

Il circolo Pickwick rappresenta l’esordio letterario di Charles Dickens: pubblicato in 19 puntate fra il 1836 e il 1837, riscosse un grandissimo successo, regalando notorietà e guadagni al giovane scrittore. La genesi di questo libro – che, a rigore, non si può neppure definire un vero e proprio romanzo, almeno nella prima parte – è inusuale per noi (non così per l’epoca): i fascicoli erano originariamente dei veri e propri commenti alle vignette umoristiche di un famoso disegnatore dell’epoca, tale Robert Seymour. La morte prematura dell’illustratore e la determinazione di Dickens a svincolarsi dalla tirannia della vignetta determinarono ben presto la subordinazione di quest’ultima al testo, sovvertendo il progetto originario. La tiratura del primo fascicolo fu di 400 copie, quella dell’ultimo di 40.000: un successo strepitoso per l’epoca.

In effetti la natura della pubblicazione sembra, qui più che altrove, determinare la struttura particolare del romanzo, che, almeno fino alla metà circa, non possiede una vera e propria trama, ma si compone diepisodi giustapposti e legati fra loro da un filo conduttore debolissimo, basato sulla presenza degli stessi personaggi. Nella seconda metà, invece, si sente la “deriva unitaria” che riannoda i fili sparsi in vista del finale.

Il circolo al quale fa riferimento il titolo è quello fondato da Samuel Pickwick, gentiluomo ormai ritiratosi dagli affari con una discreta fortuna, che ha deciso di dedicare la vecchiaia alla filantropia e più specificamente alla ricerca sull’uomo; in effetti di cosa di occupi il circolo non è ben chiaro: sembra che nelle sue competenze rientrino interessi svariati ed anche eccentrici (la teoria sui girini ne è un esempio). Quattro membri del circolo, comunque, Mr. Pickwick e altri tre amici, due dei quali molto più giovani, formano una specie di sezione distaccata e partono per raccogliere materiale per la loro ricerca sull’uomo, proponendosi di segnare aneddoti, appunti, descrizioni, storie, resoconti delle loro avventure. E ne avranno ben donde: presto saranno letteralmente sommersi da tutte le manifestazioni dell’umana natura, dalla più benevola alla più maligna, che li condurranno ad avventure spesso esilaranti.

Quel che viene fuori è un poderoso, mirabile, scintillante affresco della società inglese, che non tralascia neppure gli aspetti più sgradevoli: le furberie e i latrocini di certa parte della classe avvocatizia, la disperazione delle classi povere costrette a passare anni se non l’intera vita nelle prigioni per debiti (come tutti sanno, anche il giovanissimo Dickens passò attraverso quest’ esperienza tramite il padre), i truffatori.

Un’altra particolarità del libro è che vi si trovano riportati diversi racconti, ciascuno con un suo titolo, che sono raccolti da Mr. Pickwick nei suoi spostamenti e diligentemente annotati, cosicché entrano a far parte degli “atti del circolo” che sono poi, nella finizione, quelli attraverso cui un ipotetico redattore costruisce la storia. In effetti il narratore è esterno e fa sentire sovente la sua presenza dando giudizi su personaggi e fatti e facendo supposizioni su vari aspetti, spesso – inutile dirlo – con il ben noto umorismo che caratterizza le opere dickensiane.

I personaggi sono tutti splendidi. A dire il vero sono molto diversi dal tipo di personaggio che io prediligo nelle mie letture, per esempio sono molto lontani dall’avere un vero e proprio approfondimento psicologico: eppure questo non fa di loro, come spesso si dice, degli stereotipi. Lo stereotipo appartiene ad un personaggio che ha dei comportamenti prevedibilmente dettati dal senso comune più becero, ad esempio il detective tenebroso che incontra la bellissima donna misteriosa e, dopo aver indovinato il disegno dei suoi seni sotto i vestiti, ci finisce a letto (tipo di situazioni che detesto). Qui invece non c’è nulla del genere.

Su due personaggi in particolare val la pena soffermarsi: il protagonista e il suo domestico, Sam Weller (suo padre meriterebbe comunque un discorso a parte!). Essi sono una coppia che si completa a vicenda: Pickwick anziano, pacato, sognatore, un bel po’ avulso dalla realtà e dalla praticità; Weller giovane, irruento, dotato di quella praticità e anche di quel certo grado di savoir faire, se vogliamo chiamarlo così, che possiede ogni esponente della classe lavoratrice. Weller è il servitore ideale: onesto col padrone ma non alieno da piccoli sotterfugi (rigorosamente contro i malvagi) per il bene del padrone stesso, tenace, divertente, pronto, intelligente. La loro è una vera e propria storia di umano amore, un’amicizia pura, nonostante le differenze di posizione sociale, non ininfluenti, ovviamente, in quell’epoca.

Ho pensato, mentre leggevo, al Sam de Il signore degli anelli e per un momento mi sono chiesta se Tolkien avesse in mente proprio Sam Weller quando ha pensato al fedele servitore di Frodo. Le differenze ci sono, ma le analogie sono molte di più, e la cosa è senz’altro possibile. Lo stesso Pickwick, in effetti, ha dei tratti che lo caratterizzano come una creatura fantastica: questo l’ho pensato soprattutto quando leggevo le numerose descrizioni degli occhi scintillanti, del carattere che ignora la rabbia e invece regala e sparge mitezza, delle varie sessioni mangerecce a cui il Nostro si sottopone in allegria. In effetti anche il curatore del volume, ho scoperto (leggendo l’introduzione a fine lettura come faccio sempre), la pensa allo stesso modo, chiamandolo addirittura “folletto” e spiegando i motivi per i quali lo ritiene tale.

Un articolo di poche pagine completa la mia edizione ed è davvero molto bello. A proposito di quanto detto prima riporto un passo che mi ha davvero molto colpito:

A ogni essere umano dev’essere accaduto – o almeno è auspicabile che sia così – di trovarsi una volta o l’altra a discorrere intorno a una tavola con gli amici più cari e simpatici, una di quelle sere in cui le varie personalità si manifestano al meglio, quasi schiudendosi come grandi fiori tropicali: ognuno sostiene il suo ruolo come in una deliziosa commedia dell’arte; ognuno p se stesso più di quanto lo sia mai stato in questa nostra valle di lacrime; ognuno sembra la stupenda caricatura di se stesso. L’uomo che ha conosciuto serate del genere comprenderà le esagerazioni contenute nel Circolo Pickwick; (…) Perché Dickens, come ho già detto, è vicinissimo alla religione popolare, che poi è la sola definitiva e degna di fiducia: sa concepire la gioia che non ha fine; sa concepire creature imperiture come Puck o Pan, creature la cui voglia di vivere non può soddisfarsi di secoli né di millenni. Egli non si è fatto scrittore affinché le sue creature copino la vita e ne riproducano le angustie: è scrittore perché essi abbiano una loro vita, e sia una vita esuberante (…) Sia la religione popolare con le sue gioie senza fine, sia le vecchie storie comiche con i loro scherzi interminabili oggi vanno scomparendo di pari passo. Siamo troppo deboli per desiderare quell’immortale vigore. Crediamo sia possibile stancarsi di una cosa buona, idea blasfema (…). Gli antichi grandi sfidanti di Dio non ebbero paura di un’eternità di tormenti, ma siamo al putno di avere paura di un’eternità di gioia. (Gilbert K. Chesterton)
 
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