Grandinata estiva
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Niceville : la seconda parte mi sembra migliore, qualcosa comincia a delinearsi e alcuni personaggi vengono messi meglio a fuoco. Intendiamoci niente di trascendentale, la moda imperante di scrivere storie che non si esauriscano nel corso di un solo romanzo ma che possano protrarsi il più a lungo possibile per mere ragioni di cassetta porta molti autori ad aggrovigliarsi su se stessi e chi ne paga le conseguenze in fin dei conti è solo il lettore. In Niceville viene messe tanta di quella carne al fuoco che ce ne sarebbe per sfamare un esercito di riservisti e personaggi, almeno apparentemente, fondamentali nell’economia del romanzo dopo averli incontrati una prima volta finiamo per ritrovarli non prima di 5/6 capitoli quando ormai li avevamo dati, legittimamente, per dispersi. E francamente non aiuta la scelta di cognomi talmente improbabili e astrusi (Littlebasket, Featherlight) che persino Pico Della Mirandola avrebbe probabilmente avuto qualche difficoltà a metabolizzare. Trattandosi di trilogia dubito di farcela a proseguire con gli altri due volumi che la compongono e a dirla tutta non sono neppure certissimo che basteranno gli ulteriori due tomi per addivenire ad una conclusione di tutte le vicende gettate nel calderone in Niceville 1 (chiamiamolo un po’ così).
Furore : romanzo che non scopro io essere di quelli “obbligatori” all’interno della letteratura americana e non solo, si legge magnificamente pur nella vecchia e probabilmente penalizzante traduzione, ci propone ricette sociali e politiche che pur nella loro disarmante semplicità (o forse proprio per questo) paiono essere valide ancora oggi, ci commuove e ci coinvolge, ci fa sentire partecipi di una storia pure lontanissima da noi nel tempo e nello spazio, ci aiuta a capire e ci fa riflettere su principi morali validi in assoluto, ci regala un finale tra i più potenti che penna di uno scrittore abbia mai concepito. Un libro così sfacciatamente influente che Bruce Springsteen (e non esattamente pinko panko) sentì il bisogno 50 anni dopo di omaggiare il protagonista intitolandogli uno dei suoi dischi più intensi e profondi, qualcosa di così pazzesco che in un paese come il nostro (certo non di retroguardia a livello letterario) ci sembra per certi versi inimmaginabile (proviamo a pensare ad un Vasco Rossi oppure un Battiato che dedicano un disco a Renzo Tramaglino o Mastro Don Gesualdo). Un solo rammarico, non si dovrebbe, mai, arrivare alla mia età per scoprirlo.
La Dama Rossa : la protagonista è una studiosa di storia dell’arte che si trova a sovrintendere i lavori di restauro di Palazzo Biraghi nel reatino, un ruolo di grande responsabilità e abbastanza atipico per una giovane donna tenuto conto che ci troviamo in piena era fascista. Il romanzo è piuttosto scorrevole, va detto anche in virtù della sua brevità, e ci si trova in un amen catapultati dal fascismo ai Borgia con l’immancabile tesoro a fare da trade union. Come detto la lettura procede speditamente, qualche trovata originale s’intravede anche se nel complesso non v’è niente che un Dan Brown non avesse già proposto 15 anni prima (e non è che Brown fosse questa sorta d’avanguardista). L’idea proposta di un personaggio femminile in lotta con gli stereotipi di un ventennio dove le donne per regolamento dovevano essere niente più che mogli e madri m’è sembrata lodevole così come quella dell’enigma lasciato ai posteri dalla dama rossa attraverso la rielaborazione di un celebre sonetto di Cecco Angiolieri. Scontatissima invece l’immancabile storia d’amore fra i due protagonisti (avvampare sembra essere il loro sport prediletto oltre che il verbo preferito dall’autrice che ne fa un uso spropositato) e pure abbastanza improbabile viste le rispettive posizioni professionali.
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