II
Il don Gianni poteva anche andare in paradiso
Dalla sciagurata battuta di caccia trascorsero due mesi tranquilli dove ognuno tornò ad occuparsi delle proprie faccende e dove gli umori del tempo e dei nobili non cambiarono corso e rimasero capricciosi fino al giorno della tragedia.
L'alba sorse su una nottata insonne: corpi che rotolarono agitati nei pagliericci, un ininterrotto sussurrio di parole che correvano veloci, sogni inenarrabili, singhiozzi trattenuti a stento fino a quando, finalmente, a levante, ci si accorse del mutare del colore dell'orizzonte. Non c'era spazio per i poeti quella mattina. Così una delle aurore più belle dell'anno una di quelle in cui tutti i colori si alternano dal più cupo e triste a quello più gioioso e radioso dove i primi raggi del sole sorgente baciano il pellegrino speranzoso di vivere la giornata più bella dell'anno, scivolò via nell'indifferenza anche degli animi più sensibili. Che notte funesta: non bastò quello che accadde durante il giorno appena trascorso; ci si mise anche la luna che solcava il cielo nella sua pienezza e triste (aimè quella notte) splendore, che prima scomparve in un cielo senza una nuvola e poi ricomparve tutta tinta di rosso ecclissandosi dietro un'ombra malefica. E che silenzio: solo un'incessante mormorio di donne che recitavano, ognuna nella propria casa, una preghiera dietro l'altra. Nemmeno il frinire dei grilli che avevano rinunciato a cantare esasperati da quel mormorare salmi che proprio gli avevano rovinato la notte, e nemmeno un cinguettio d'uccelli che di solito precedeva l'alba.
Il Conte Pietro che da ore passeggiava pensoso nella sua spaziosa camera da letto si arrestò d'improvviso davanti alla finestra; puntò le mani sul polveroso davanzale e colto da un improvviso attacco di misticismo dichiarò, guardandosi le mani ricoperte da una fastidiosa coltre bianca, solennemente a sua moglie Luisa che, si, lui avrebbe salvato il paese dalla quella disgrazia. La Luisa donna concreta e poco propensa alle faccende spirituali (era l'unica persona che in in tutto il villaggio era riuscita a dormire) grugnì con sollievo (“Finalmente smetterà di andare su e giù per la stanza” pensò) e girò le sue possenti membra, facendo scricchiolare l'intera struttura che componeva il suo giacilio, lasciando la nascente luce del giorno alle sue spalle.
Il Visconte Paolo che da ore percorreva su e giù la sua spaziosa camera da letto madido di sudore interruppe le sue profonde riflessioni asciugandosi le gocce che gli imperlavano il volto con un con un lembo della sua tenuta da notte cercando di non farsi vedere da sua moglie che anche in un momento così triste e preoccupante non avrebbe rinunciato a fargli una conferenza su come si sciupano i vestiti trattandoli come lui. Si rivolse a sua moglie Linda (di nome e di fatto) e colto da sacro furore le disse: “Il paese è salvo”. E dopo un lungo sospiro aggiunse “Ghe pensi mi”. E lei conscia della testardaggine e imprudenza del marito, convinta che nuove sciagure si sarebbero abbattute sul villaggio lanciò nell'aria un gridolino di terrore e attaccò il ventesimo salmo penitenziale consecutivo.
Nemmeno al postribolo, che in quel paese faceva funzione di taverna , locanda e anche casa di piacere, si dormì quella notte. Non perché fosse più affollato del solito di ubriachi e tira tardi che i dintorni fornivano abbondantemente, ma proprio perché non vi erano clienti e le prostitute colte più da terrore che da improvviso fervore religioso avevano intonato litanie e inanellato numerose Ave Maria come se all'improvviso nella “casa del peccato” si fossero insediate le donne più virtuose e vergini di tutto l'orbe, così che anche i loro frequentatori più miscredenti si erano allontanati tornando a casa presto e facendo gridare al miracolo le loro donne.
Il giorno prima, come tutte le mattine, la campana della chiesa di Santa Maria della Sorgente, aveva richiamato a se i fedeli per la messa. E come tutte le mattine, mentre gli uomini erano impegnati nel consueti lavori nei campi o ad accudire le bestie, e le donne spolveravano (quanta polvere in quell'autunno secco che nessuno a memoria si ricordava così caldo) e accudivano ai bambini, le anziane del paese si erano date il consueto appuntamento sulle loro panche sgualcite per partecipare alla celebrazione eucaristica presieduta dal don Gianni sacerdote novello. Le parole del sacerdote erano disturbate da insoliti, sottili e continui scricchiolii, ma vista l'età media delle partecipanti a quel consesso, lo stato decrepito (e in qualche caso veramente imponente) dei loro corpi e il gran secco dell'aria non fecero supporre nulla di anomalo. Tuttavia sguardi sfuggevoli e indagatori cercavano di capire chi fosse colei che aveva le ossa arrugginite da scricchiolare, o chi fosse colei che con il suo peso metteva a dura prova la resistenza delle assi di legno su cui erano sedute. La messa finì e tutte tornarono alle proprie occupazioni non prima, però, di avere gettato sguardi di compassionevole disprezzo alla propria vicina, ognuna convinta che fosse stata lei ad avere disturbato tutto il tempo.
A mezzogiorno, mentre nelle case si levava un buon profumo di cipolle arrostite e nei campi seduti sotto il cerro ristoratore i contadini si davano ritrovo per addentare un boccone di pane, una fetta di formaggio e bere un bicchiere di vino raccontandosi le ultime novità della città apprese la sera prima alla locanda e commentando un po' quell'autunno inoltrato che pareva estate piena, un possente tonfo attraversò la campagna in quel giorno dei primi di quell'anomalo novembre. I contadini sdraiati a sonnecchiare dopo il pasto come se fosse settembre, si alzarono pigramente sui gomiti, allungarono lo sguardo chi a destra e chi a sinistra, si guardarono perplessi, e non vedendo nulla se non un po' di polvere alzarsi verso il Lambro (- ma si c'è secco – disse uno – sarà qualche carovana di carrozze che vanno al castello – disse un altro) si fecero vincere dallo stomaco appagato e dalla palpebra appesantita.
“O Signore”
“Il Don Giuan”
“La chiesa”
“Dove sono tutti gli uomini... uomini accorrete”
“Stefanino, Carletto, Sandrino correte in campagna e chiamate aiuto”
“Porta chi i asu... e i cavai”
“Dov'è il don Giovanni”
“Il pret l'era in ciesa”
“O Signore aiutalo”
“Per tuti i santi del paradis”
La bella chiesetta di legno, che sorgeva sulla fonte del Riozzello, in fondo alla via dove vi erano le case dei due nobili, si era accasciata su se stessa alzando un nuvolone di polvere che si depositò tutt'intorno e offuscò persino il sole. Dopo una prima generale sorpresa si alzarono le prime grida di allarme e sconforto.
Mentre gli uomini, quelli che erano nelle cascine, ed erano arrivati sul luogo della tragedia per primi, cominciavano, con prudenza, a spostare le macerie nuove grida provenivano dal fondo della strada. La Felicita del postribolo correva a perdifiato verso il luogo della tragedia:
“La Lia... La Lia”
“Chi l'è la Lia?” domandò una donna.
“La Lia che roba?” chiese uno dei soccorritori
“La Lia l'era in ciesa”
“In chiesa la Lia?”
“A far cosa?” si domandavano tutti, persino i primi soccorritori si bloccarono dallo stupore a questa rivelazione.
“A confessarsi” disse con voce strozzata la Felicita.
“La Lia in chiesa per confessarsi?” risposero in coro.
“O divino Amore ecco perché è crollata la chiesa... con tutti quei peccati...” ironizzò il Pierino del conte e subito fu zittito da una badilata sul calcagno che lo fece rattristare di colpo.
“Ma chi l'è la Lia?” si domandavano ancora le donne.
“Ma si la Belpetto”.
“La Belpetto?”.
“O Maria santissima”.
Si deve sapere che la Lia detta, per evidenti ragioni che è inutile sottolineare, “la Belpetto” al secolo conosciuta come la Lia dolci occhi per alcuni, Lia pelle di seta per altri, la Lia del Tugnin de Ceregall per tutti, era la punta di diamante del bordello del paese: la più bella, la più brava e ovviamente la più costosa. Mai, in vita sua, aveva messo piede in una chiesa e quindi saperla sotto le macerie del piccolo tempietto riozzese fece uno scalpore immenso. Scalpore accresciuto dalla possibilità di averla persa per sempre. A questo punto bisogna dire che sul volto di alcune donne comparve un maligno sorriso celato dalle copiose lacrime per il don Gianni mentre tra gli uomini (tutti) crebbe uno sconforto tremendo, che moltiplicò le energie nel rimuovere ciò che rimaneva della chiesa. “Il don Gianni poteva anche andare in paradiso, ma la Lia il paradiso dove darlo in terra”.
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